Abbiamo chiesto a una serie di produttori italiani di gin il loro punto di vista su temi come la moltiplicazione dei brand, territorialità, ingredienti, etichette, ecc… La ricetta: unirsi, fare sistema, comunicare meglio.

Marco Gemelli

03/06/2021

Come sta il gin italiano? Se lo chiedono in tanti, ma se la curiosità in sé è del tutto legittima e la questione viene correttamente presentata, non sempre le domande vengono poste alle persone giuste. Ecco perché vogliamo sapere dai produttori – ossia coloro che ogni giorno hanno a che fare con questo settore, e godono perciò di una prospettiva peculiare – lo stato dell’arte del distillato oggi più in voga nel nostro Paese. Tra i protagonisti della rinascita del gin in Italia, infatti, chi meglio di distillatori e produttori può avere un punto di vista accurato e aggiornato?

Come sta il gin italiano?

“Per noi – esordisce Eugenio Belli, proprietario e distillatore di Eugin Distilleria Indipendente – la questione va divisa in una serie di tematiche da affrontare separatamente, a partire da chi sono i produttori: se oggi circolano centinaia di marchi e una gran quantità di prodotto, non viene percepita la differenza tra chi è effettivamente produttore e chi semplicemente attacca il viso su un’etichetta. I veri produttori in Italia oggi sono poche decine, gli altri sono solo marchi, e l’unico modo che abbiamo di far rilevare la differenza tra ‘noi’ e ‘gli altri’ è fare rete in modo rigidamente esclusivo, basandoci sul possesso di un alambicco o uno strumento di distillazione. Come avviene per altri prodotti tutelati da un disciplinare europeo, gli ingredienti devono essere quelli e non si può avere un prodotto parallelo. C’è poi il tema della percentuale degli ingredienti e della loro provenienza geografica, con ciò che deriva in termini di reperibilità e qualità. Ma ciò che conta è che i produttori italiani di gin siano tutelati esattamente come gli altri produttori italiani di distillati. Ciò si può fare in tre modi: facendo rete, unendoci, aumentando l’informazione corretta creando un segmento di clienti sufficientemente informato da tutelarsi da sé e – non ultimo – creando un sistema terzo, indipendente, che verifichi che quanto dichiarato in etichetta sia effettivamente ciò che viene fatto”.

Eugenio Belli: «Non viene percepita la differenza tra chi è produttore e chi etichetta solo»

Eugenio Belli, Eugin distilleria indipendente

Gli fa eco Giacomo Faramelli (Anonima Distillazioni): “Alla distonia tra marchi e produttori si somma una sorta di ‘mappatura catastale’ dei nuovi marchi, che esprimono territorialità non sempre concrete ma spinte dal marketing. Sulla mancata percezione di differenza tra marchi e produttori, capita anche nel mondo della craft beer: alla prima ondata di produttori sono seguiti moltissimi marchi. Ecco perché potremmo proporre magari un piccolo marchio da apporre in etichetta. Sul tema degli ingredienti italiani, piuttosto che vincolare a cercare ginepri ovunque meglio associare produttori in una rete capace di interfacciarsi con coltivatori e enti universitari (come fanno i birrai in usa nello sviluppo dei nuovi luppoli) per sviluppare coltivazioni sensate sviluppate lungo le aree vocate. In fondo, usare ingredienti locali non è sempre garanzia di qualità”.

Giacolo Faramelli: «Proporre un piccolo marchio da apporre in etichetta»

Giacomo Faramelli, Anonima Distillazioni

Secondo Alessandro Cossu (Exmu), contro il proliferare di marchi delle gin firm “occorre rinunciare alla produzione conto terzi, ma servirebbe convincere tutte le distillerie. Nel campo della birra artigianale, nell’etichetta è previsto l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione ma ciò non ha impedito la creazione di centinaia di marchi senza impianto di produzione. Sarebbe necessario un intervento legislativo per distinguere i produttori artigianali da quelli industriali. Sul tema delle materie prime locali, ognuno è libero di utilizzare un’essenza caratteristica del luogo di produzione o il pepe di Sichuan, nessun ingrediente garantisce la qualità del prodotto finale. Il problema è come racconti il prodotto al target di riferimento. Oggi un ‘gin italiano’ non esiste, ma noi produttori di gin artigianale possiamo tutelarci facendo rete, educando i clienti e aumentando la loro consapevolezza in ciò che stanno bevendo”.

Alessandro Cossu: «Oggi un ‘gin italiano’ non esiste, ma noi produttori di gin artigianale possiamo tutelarci facendo rete»

Alessandro Cossu e Simona Ruda, Exmu farm brewery & distillery

“Non sempre – spiega invece Piero Nuvoloni-Bonnet, proprietario di Argalà – il binomio artigianale/qualità ha funzionato. Ho avuto modo di assaggiare ottimi prodotti derivati da grandi produzioni e pessimi risultati di orgogliosissimi artigiani. Bisogna perciò cercare di produrre e promuovere la qualità valorizzando la passione, la ricerca e il tempo che vi dedichiamo. Se qualcuno produce dell’ottimo gin in Italia, acquistando dell’ottimo ginepro dai Balcani, io, sinceramente non ci vedo nulla di male. Allargherei il discorso anche alla liquoristica e alla produzione di vermouth. Spesso nascono sorprendenti e mirabolanti nuove etichette, senza però badare a quello che c’è in bottiglia”.

Piero Nuvoloni-Bonnet: «Promuovere la qualità valorizzando la passione»

Piero Nuvoloni-Bonnet, Argalà liquorificio artigianale

“Esiste la necessità di fare sistema – continua Enrico Chioccioli Altadonna, proprietario e distillatore di Winestillery – per difendersi dalle distorsioni sempre più grandi che il mercato del ‘gin italiano’ sta presentando. Solo nel nostro Paese, infatti, vedo una così marcata distonia tra gin prodotti da produttori e gin realizzati per conto di altri, con un’assoluta predominanza della seconda categoria rispetto alla prima. Non esiste gin artigianale senza l’artigiano, trovo veramente assurdo poter eliminare dall’equazione del gin artigianale colui che ne è l’attore: il mastro distillatore. Da un lato il consumatore è mortificato inconsapevolmente nel suo diritto di scelta, essendo la maggioranza dei gin in commercio prodotta dalle stesse distillerie; dall’altro ciò si traduce anche in una ‘povertà’ di espressività del nostro comparto, in quanto le filosofie di produzione si riducono enormemente, essendo le stesse mani dello stesso artigiano a produrre una vastità di marchi diversi. Infine, i veri produttori rischiano di non vedere valorizzato il loro investimento (di tempo, know how e denaro) dal momento che il consumatore non riesce a percepire la differenza tra gin prodotto e gin fatto fare conto terzi, di fatto annullando quello che dovrebbe essere il suo vantaggio competitivo. La soluzione? Più rame: occorrono più alambicchi in Italia, sono necessari più mastri distillatori. Purtroppo spesso esistono gin compound che ‘giocano’ a fare il London Dry. Sul tema della divulgazione, noi produttori non stiamo facendo sufficientemente sentire la nostra voce, lasciando spazio nella discussione a tematiche sollevate in buona fede ma che non toccano le problematiche più rilevanti del nostro settore. Ad esempio, esiste un impianto normativo europeo già molto ben costruito, pressoché identico in tutto il mondo. Questo a mio avviso rappresenta un punto di forza, per cui creare un disciplinare nuovo che non consentirebbe di assimilare il gin italiano a quello degli altri paesi potrebbe risultare controproducente. Il rischio, in sostanza, è quello di dissipare le energie nel dibattito su temi minori piuttosto che concentrarsi sulle reali battaglie in difesa dei veri produttori e delle problematiche per loro importanti.”

Enrico Chioccioli Altadonna: «La soluzione? Più rame: occorrono più alambicchi in Italia»

Enrico Chioccioli Altadonna, Winestillery

Dal canto suo Stefano Cicalese, distillatore di Peter in Florence, aveva provato a riunire produttori a un tavolo e pensare insieme a come rinforzare il gin italiano, ma il progetto ha incontrato molte difficoltà nel mettere tutti i d’accordo. “Spero comunque che un giorno si possa riuscire a esaudire il mio desiderio di riunire i produttori sotto un unico tetto per distinguersi da un disciplinare vecchio, ampio, non controllato e mal raccontato, ma al quale tutti dobbiamo allacciarci per esigenze commerciali”.

Stefano Cicalese: «Riunire i produttori sotto un un unico tetto»

Stefano Cicalese, Peter in Florence

Lasciamo l’ultima parola a Claudio Riva, co-fondatore di Distillerie.it. “Il distillato artigianale italiano sta vivendo una nuova vita, chi meglio della nuova leva di micro-distillatori – con la loro istintiva e verginale passione – può descrivere lo stato dell’arte del nostro gin? I tempi sono maturi per spazzare via le incertezze di questi primi anni e per porre le fondamenta di un movimento con una propria identità, una piccola rivoluzione che deve necessariamente crescere all’interno degli stessi produttori. Da qui è nato il nostro desiderio di questo primo tavolo di discussione, da qui nasce la nostra proposta di giungere pronti a compiere il primo significativo passo durante Distillo Expo 2022. Eugenio, Giacomo, Alessandro, Piero, Enrico, Stefano, e chiunque altro desideri unirsi, metteremo a vostra disposizione tutto lo spazio e il tempo necessario durante questo primo incontro tra i professionisti italiani della micro distillazione, non esiste occasione migliore”.

Marco Gemelli